Non abbiamo bisogno solo di etica, ma di eticologia
15/05/20 11:38 Archiviato in: Etica
Non abbiamo bisogno solo di etica, ma di eticologia
Di Stefano Scolari
Se vogliamo far sì che l’etica sia elemento fondante delle decisioni personali, è necessario che l’individuo recuperi la propria capacità di valutare in prima persona il valore etico delle proprie decisioni e azioni e ne sia responsabile.
Immagina di essere alla guida della tua automobile. Ad un certo punto incontri un semaforo, cosa devi fare? Semplice: devi rispettare le norme previste nel codice della strada. Se c’è rosso ti fermi, se c’è verde passi, se c’è giallo ti fermi a meno che tu non sia così vicino da non poterlo fare con sicurezza, nel qual caso prosegui con prudenza sgombrando sollecitamente l’incrocio. Nessuna decisione da prendere, solo attenersi alle norme. Può così capitare di essere fermi a lungo perché bloccati dal rosso anche se non ci sono veicoli che passano.
Supponi ora di arrivare ad un incrocio regolato da una rotatoria, in questo caso se non c’è nessuno passi. Anche in questo caso c’è una norma: i veicoli che già circolano sulla rotatoria hanno la precedenza su quelli che si immettono ma tutto il resto è lasciato alla discrezione del conducente, alla tua discrezione. Sarai tu a decidere se, quando e come passare. Per farlo devi rimetterti al tuo giudizio personale e fare ricorso a quelle che Aristotele chiamerebbe virtù: saggezza, coraggio, correttezza.
Al semaforo devi solo attenerti alle norme ma potresti aspettare a lungo inutilmente, alla rotonda se non c’è pericolo passi subito ma devi decidere tu e prenderti le tue responsabilità. Così è nella vita e nel mondo del lavoro.
Noi viviamo in un’epoca e in una società che ha la tendenza a legiferare e mettere norme su tutto, togliendo agli individui l’incombenza di sviluppare una propria capacità di decidere ciò che è giusto o sbagliato assumendosene la responsabilità. Una società dove tutto sembra rivolto ad evitare ogni possibile rischio, arrivando persino a scrivere sulle tazze da caffè ‘Attenzione contenuto caldo’. [1]
Le regole, però, sono sempre in ritardo: riescono a normare solamente rischi e situazioni conosciuti o largamente prevedibili. Nulla possono in un mondo in continua, rapidissima evoluzione. Sono sempre in affanno e lasciano ampi spazi, periodi di vuoto, nei quali comportamenti non etici, ma ancora legali (o meglio ancora non illegali, se mi si passa l'espressione), possono prosperare. [2] Per questo dopo ogni nuovo incidente, scandalo finanziario, fenomeno di corruzione si invocano nuove norme e nuove leggi nella convinzione che quanti più comportamenti si riescono a normare tanto più si riducono i rischi fino ad azzerarli.
Diversi studi evidenziano invece proprio il contrario. Hale, Borys e Adams [3] osservano ad esempio: “[…] vi è una proliferazione di regole e una giungla di eccezioni ed esenzioni. Per far fronte a tali norme d'azione imposte, le aziende si concentrano sulla conformità piuttosto che sulla gestione dei rischi. Questo trasforma la conformità in un gioco di carte burocratico e legalistico piuttosto che un processo creativo di ottimizzazione del controllo del rischio e probabilmente inibisce l'innovazione.”
Lo spostamento dell’attenzione dal rischio, dal comportamento che si vuole evitare alla norma che pretende di evitarlo fa sì che l’attore, il soggetto, che tale rischio deve evitare se ne senta ‘spogliato’ mettendo tutta la sua attenzione ad ottemperare alla norma. In altre parole, se le persone percepiscono che ciò che è richiesto loro è di attenersi il più scrupolosamente possibile alla norma, non sentiranno più la questione come ‘propria’ (ovvero che loro stessi in prima persona ne pagheranno le conseguenze) distraendo la propria attenzione dai fattori di rischio, e, quindi, dalla prevenzione. Se lo scopo del regolatore è quello di coinvolgere maggiormente l’attore spingendolo a comportamenti virtuosi, ottiene in realtà l’effetto opposto sollevandolo dalla sua responsabilità nell’evitare i rischi poiché lo incarica solo di ottemperare alle norme che altri (ovvero i regolatori stessi) hanno stabilito esser funzionali ad evitare tale rischio.
Sia chiaro, le norme e le leggi che regolino le basi del convivere civile sono utili e perfino necessarie.
Ma, come detto, le norme inseguono l’innovazione: ci saranno sempre casi legati a nuove malattie, tecnologie, prodotti e situazioni non consolidate dove l’insieme delle norme non sa dare una risposta esauriente. A quel punto ci si ferma, come ad un semaforo bloccato sul rosso. Oppure, come in una rotonda, si prende il coraggio di passare. Ma se non si è abituati il rischio dell’incidente è alto.
La soluzione è la creazione di una cultura basata sul concetto di etica partecipativa. Ognuno è allenato e incentivato a rispettare le norme ma al tempo stesso a valutare individualmente la bontà di ogni decisione che prende e “se qualcuno vede qualcosa che lo mette a disagio deve essere libero di esprimersi, anche i membri del gruppo con poca o nessuna esperienza.” [4]
Questa cultura è ciò che chiamo Eticologia.
Eticologia, dall’unione di etica ed ecologia, è l’interazione tra gli individui, i loro comportamenti e il loro ambiente affinché quest’ultimo favorisca, in un senso evolutivo, ‘selezionandoli’, i comportamenti buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi. Da una parte perciò è necessario che l’individuo agisca valutando eticamente i propri comportamenti e le proprie interazioni, dall’altra che tale modo di agire ‘crei’ un ambiente nel quale vengono favoriti proprio i comportamenti eticamente desiderabili. Un ambiente nel quale, perciò, i comportamenti eticamente desiderabili non vengono attuati dagli individui perché imposti da norme emanate da una qualche autorità esterna ma perché razionalmente scelti dagli individui stessi. L’ambiente che nasce dalla somma di queste scelte farà sì che tutti i membri, compresi i nuovi arrivati nella comunità, saranno tendenzialmente portati ad assumere l’attitudine alla valutazione etica delle proprie scelte e ad attuare comportamenti eticamente desiderabili e a evitare quelli indesiderabili.
Un po’ come avviene in una spiaggia: se non getto sulla sabbia i miei rifiuti ma li raccolgo e li porto via con me, magari raccolgo anche quelli lasciati da qualcun altro meno attento, altri mi imiteranno e la spiaggia dopo un po’ sarà pulita. A questo punto anche chi giungerà dopo, vedendo un ambiente pulito e i comportamenti dei presenti, sarà portato ad assumere un atteggiamento virtuoso. E viceversa. [5]
È necessario e urgente che ciò avvenga. Le crisi che abbiamo di fronte non sono solo crisi sanitarie, ambientali, economiche, politiche o sociali: sono prima di tutto crisi di mancanza di comportamenti eticamente consapevoli. Sta a ciascuno valutare il valore etico delle proprie decisioni, agire di conseguenza e trovare la forza e il coraggio di fare le scelte giuste, anche se scomode. Nella convinzione che il cambiamento di una singola persona porterà ad un grande cambiamento nel proprio ambiente di lavoro e nella società nel suo complesso.
Di Stefano Scolari
Se vogliamo far sì che l’etica sia elemento fondante delle decisioni personali, è necessario che l’individuo recuperi la propria capacità di valutare in prima persona il valore etico delle proprie decisioni e azioni e ne sia responsabile.
Immagina di essere alla guida della tua automobile. Ad un certo punto incontri un semaforo, cosa devi fare? Semplice: devi rispettare le norme previste nel codice della strada. Se c’è rosso ti fermi, se c’è verde passi, se c’è giallo ti fermi a meno che tu non sia così vicino da non poterlo fare con sicurezza, nel qual caso prosegui con prudenza sgombrando sollecitamente l’incrocio. Nessuna decisione da prendere, solo attenersi alle norme. Può così capitare di essere fermi a lungo perché bloccati dal rosso anche se non ci sono veicoli che passano.
Supponi ora di arrivare ad un incrocio regolato da una rotatoria, in questo caso se non c’è nessuno passi. Anche in questo caso c’è una norma: i veicoli che già circolano sulla rotatoria hanno la precedenza su quelli che si immettono ma tutto il resto è lasciato alla discrezione del conducente, alla tua discrezione. Sarai tu a decidere se, quando e come passare. Per farlo devi rimetterti al tuo giudizio personale e fare ricorso a quelle che Aristotele chiamerebbe virtù: saggezza, coraggio, correttezza.
Al semaforo devi solo attenerti alle norme ma potresti aspettare a lungo inutilmente, alla rotonda se non c’è pericolo passi subito ma devi decidere tu e prenderti le tue responsabilità. Così è nella vita e nel mondo del lavoro.
Noi viviamo in un’epoca e in una società che ha la tendenza a legiferare e mettere norme su tutto, togliendo agli individui l’incombenza di sviluppare una propria capacità di decidere ciò che è giusto o sbagliato assumendosene la responsabilità. Una società dove tutto sembra rivolto ad evitare ogni possibile rischio, arrivando persino a scrivere sulle tazze da caffè ‘Attenzione contenuto caldo’. [1]
Le regole, però, sono sempre in ritardo: riescono a normare solamente rischi e situazioni conosciuti o largamente prevedibili. Nulla possono in un mondo in continua, rapidissima evoluzione. Sono sempre in affanno e lasciano ampi spazi, periodi di vuoto, nei quali comportamenti non etici, ma ancora legali (o meglio ancora non illegali, se mi si passa l'espressione), possono prosperare. [2] Per questo dopo ogni nuovo incidente, scandalo finanziario, fenomeno di corruzione si invocano nuove norme e nuove leggi nella convinzione che quanti più comportamenti si riescono a normare tanto più si riducono i rischi fino ad azzerarli.
Diversi studi evidenziano invece proprio il contrario. Hale, Borys e Adams [3] osservano ad esempio: “[…] vi è una proliferazione di regole e una giungla di eccezioni ed esenzioni. Per far fronte a tali norme d'azione imposte, le aziende si concentrano sulla conformità piuttosto che sulla gestione dei rischi. Questo trasforma la conformità in un gioco di carte burocratico e legalistico piuttosto che un processo creativo di ottimizzazione del controllo del rischio e probabilmente inibisce l'innovazione.”
Lo spostamento dell’attenzione dal rischio, dal comportamento che si vuole evitare alla norma che pretende di evitarlo fa sì che l’attore, il soggetto, che tale rischio deve evitare se ne senta ‘spogliato’ mettendo tutta la sua attenzione ad ottemperare alla norma. In altre parole, se le persone percepiscono che ciò che è richiesto loro è di attenersi il più scrupolosamente possibile alla norma, non sentiranno più la questione come ‘propria’ (ovvero che loro stessi in prima persona ne pagheranno le conseguenze) distraendo la propria attenzione dai fattori di rischio, e, quindi, dalla prevenzione. Se lo scopo del regolatore è quello di coinvolgere maggiormente l’attore spingendolo a comportamenti virtuosi, ottiene in realtà l’effetto opposto sollevandolo dalla sua responsabilità nell’evitare i rischi poiché lo incarica solo di ottemperare alle norme che altri (ovvero i regolatori stessi) hanno stabilito esser funzionali ad evitare tale rischio.
Sia chiaro, le norme e le leggi che regolino le basi del convivere civile sono utili e perfino necessarie.
Ma, come detto, le norme inseguono l’innovazione: ci saranno sempre casi legati a nuove malattie, tecnologie, prodotti e situazioni non consolidate dove l’insieme delle norme non sa dare una risposta esauriente. A quel punto ci si ferma, come ad un semaforo bloccato sul rosso. Oppure, come in una rotonda, si prende il coraggio di passare. Ma se non si è abituati il rischio dell’incidente è alto.
La soluzione è la creazione di una cultura basata sul concetto di etica partecipativa. Ognuno è allenato e incentivato a rispettare le norme ma al tempo stesso a valutare individualmente la bontà di ogni decisione che prende e “se qualcuno vede qualcosa che lo mette a disagio deve essere libero di esprimersi, anche i membri del gruppo con poca o nessuna esperienza.” [4]
Questa cultura è ciò che chiamo Eticologia.
Eticologia, dall’unione di etica ed ecologia, è l’interazione tra gli individui, i loro comportamenti e il loro ambiente affinché quest’ultimo favorisca, in un senso evolutivo, ‘selezionandoli’, i comportamenti buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi. Da una parte perciò è necessario che l’individuo agisca valutando eticamente i propri comportamenti e le proprie interazioni, dall’altra che tale modo di agire ‘crei’ un ambiente nel quale vengono favoriti proprio i comportamenti eticamente desiderabili. Un ambiente nel quale, perciò, i comportamenti eticamente desiderabili non vengono attuati dagli individui perché imposti da norme emanate da una qualche autorità esterna ma perché razionalmente scelti dagli individui stessi. L’ambiente che nasce dalla somma di queste scelte farà sì che tutti i membri, compresi i nuovi arrivati nella comunità, saranno tendenzialmente portati ad assumere l’attitudine alla valutazione etica delle proprie scelte e ad attuare comportamenti eticamente desiderabili e a evitare quelli indesiderabili.
Un po’ come avviene in una spiaggia: se non getto sulla sabbia i miei rifiuti ma li raccolgo e li porto via con me, magari raccolgo anche quelli lasciati da qualcun altro meno attento, altri mi imiteranno e la spiaggia dopo un po’ sarà pulita. A questo punto anche chi giungerà dopo, vedendo un ambiente pulito e i comportamenti dei presenti, sarà portato ad assumere un atteggiamento virtuoso. E viceversa. [5]
È necessario e urgente che ciò avvenga. Le crisi che abbiamo di fronte non sono solo crisi sanitarie, ambientali, economiche, politiche o sociali: sono prima di tutto crisi di mancanza di comportamenti eticamente consapevoli. Sta a ciascuno valutare il valore etico delle proprie decisioni, agire di conseguenza e trovare la forza e il coraggio di fare le scelte giuste, anche se scomode. Nella convinzione che il cambiamento di una singola persona porterà ad un grande cambiamento nel proprio ambiente di lavoro e nella società nel suo complesso.
- “Careful, the beverage you are about to enjoy is extremely hot,” si legge sulle tazze di Starbucks e “Caution Handle with Care I’m Hot” su quelle di McDonald’s. Queste frasi sono effettivamente rivolte ad evitare che l’utente si possa ustionare con il caffè o sono piuttosto un modo per deresponsabilizzare la società che avendo avvisato il cliente non è più perseguibile in caso di danni? Viene da pensare che la ragione sia piuttosto quest’ultima visto che tali scritte sono apparse dopo la milionaria causa che vide Stella Liebeck citare McDonald's per le ustioni che si era procurata con del caffè che si era versata addosso. La giuria le diede ragione e venne indennizzata con 2,9 milioni di dollari.
- Valga ad esempio la pratica del doping nello sport. I farmaci, le sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e le pratiche mediche, il cui impiego è considerato doping vengono definiti in appositi elenchi. Perciò è doping ciò che rientra in quell’elenco. Nasce così una specie di gioco di guardie e ladri dove da una parte i ‘ladri’ cercano di produrre sostanze con gli effetti desiderati non elencate o non rilevabili, dall’altra le guardie cercano di rilevarle e inserirle in elenco.
- HALE ANDREW, BORYS DAVID, ADAMS MARK, Regulatory Overload: A Behavioral Analysis of Regulatory Compliance, Working Papers n. 11-47, November 2011, George Mason University. Traduzione mia.
- RON WATTERS, The Culture of Safety, in Proceedings of the 15th Annual International Conference of Outdoor Recreation and Education - ICORE 2001, pp. 85-87. Traduzione mia.
- Si vedano l’articolo di KELLING GEORGE L., WILSON JAMES Q., Broken windows: the police and neighborhood safety, Atlantic Monthly, marzo 1982, 249(3), pp- 29–38 e il famoso esperimento di KEIZER KEES, LINDENBERG SIEGWAR, STEG LINDA, The Spreading of Disorder, Science, 322, 2008/12/01, pp. 1681-1685, DOI: 10.1126/science.1161405